Luciano Spalletti, ex allenatore dell’Italia, si apre in un’intervista a La Repubblica tra dolore personale, rimorsi e riflessioni sul rapporto con il calcio e la Nazionale.
Luciano Spalletti rompe il silenzio dopo l’addio alla Nazionale italiana e lo fa con parole dirette, talvolta taglienti, che lasciano poco spazio alle interpretazioni. In una lunga intervista concessa a La Repubblica, l’ex commissario tecnico ripercorre i mesi alla guida dell’Italia, le difficoltà incontrate nel gruppo, i suoi errori e una fragilità emotiva mai nascosta. “Il calcio mi ha rovinato la vita”, ammette senza filtri, spiegando di aver dedicato tutto alla carriera, spesso a discapito degli affetti più stretti. Un’ammissione che pesa, tanto quanto la ferita ancora aperta della sconfitta contro la Norvegia, che ha segnato il fallimento europeo e le sue notti insonni.
Il peso della Nazionale, tra rimorsi e fallimenti
Spalletti descrive senza giri di parole il suo rapporto con l’esperienza azzurra, parlando di un incarico vissuto con trasporto, ma anche con eccessiva idealizzazione. Il commissario tecnico voleva trasmettere un senso di appartenenza che però non è stato recepito come sperava. “Volevo stimolare l’orgoglio che provavo io”, racconta, citando i richiami all’inno nazionale, ai riti pre-allenamento, ai gruppi uniti da un’identità forte. Ma l’energia impiegata si è scontrata con una realtà più sfumata. “Ho chiesto troppo. Ho fallito”, ammette.

Il passaggio più doloroso riguarda proprio l’impatto personale della disfatta. Il ct confessa che la sconfitta con la Norvegia continua a tormentarlo. “Mi toglie il sonno, mi condiziona tutto. Certe volte mi sembra di essere felice, poi torna quella cosa lì.” E più ancora del risultato sportivo, ciò che lo tormenta è non essere riuscito a costruire un legame autentico: “Non sono riuscito a far capire ai ragazzi che gli volevo bene.”
Spalletti nega che accettare la panchina della Nazionale sia stato un errore. Per lui, quando l’Italia chiama, si risponde senza esitazioni. Eppure, qualcosa non ha funzionato. Nella sua visione idealista della maglia azzurra, il richiamo all’orgoglio patriottico è diventato un limite, un peso per i calciatori. “Ho pigiato troppo su quel tasto, fin da subito. Ho esagerato.”
Il Napoli, lo Scudetto e un’assenza che pesa ancora
L’intervista tocca anche un altro punto nevralgico nella vita recente di Spalletti: l’addio al Napoli. Una separazione difficile, ancora oggi vissuta con un misto di amarezza e fierezza. “Il più grande dispetto che ho ricevuto”, rivela, “è non aver potuto sfilare con i miei calciatori sul pullman scoperto dopo lo Scudetto.” Un episodio rimasto impresso, tanto da chiedere ai suoi ex giocatori di mandargli un video della festa dell’anno successivo, per capire che effetto facesse “vedere quella folla da lì sopra”.
Spalletti non rinnega la scelta di lasciare, ma chiarisce che dietro quella decisione c’era anche la volontà di mettere a nudo le contraddizioni di una gestione complessa. “Con quel gesto ho fatto capire che non tutto dipendeva da De Laurentiis”, ha detto, sottolineando come il club, dopo il suo addio, abbia compreso che per continuare a vincere serviva altro.
Dalle sue parole emerge una figura combattuta: il tecnico toscano resta legato a ogni esperienza vissuta, ma non nasconde quanto le scelte fatte — e i risultati mancati — abbiano inciso sulla sua serenità. Un uomo ancora immerso nelle proprie battaglie interne, tra ricordi e rimpianti.