Il grasso addominale è il più rischioso per la salute. Scopri quali alimenti aiutano a ridurlo, cosa evitare e che tipo di attività fisica funziona davvero.
Il grasso addominale è spesso sottovalutato, liquidato come un semplice problema di linea, ma in realtà rappresenta una delle forme di accumulo adiposo più dannose per la salute. Si parla in particolare di grasso viscerale, quello che si deposita attorno agli organi interni come fegato, pancreas e intestino. A differenza del grasso sottocutaneo, più innocuo, quello viscerale è metabolicamente attivo, produce citochine infiammatorie e ormoni che alterano il funzionamento del metabolismo e aumentano il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, ipertensione, steatosi epatica e sindrome metabolica.
Come funziona il grasso viscerale e perché si accumula nella pancia
Il grasso addominale, dal punto di vista medico, è considerato un indicatore di rischio ben più rilevante rispetto ad altri tipi di adipe. Non è un caso che le linee guida internazionali suggeriscano di misurare la circonferenza vita e non solo il peso corporeo. Quando questo grasso aumenta, cresce anche la probabilità di squilibri ormonali e infiammatori. Uno dei motivi principali per cui si deposita in questa zona è l’eccesso calorico, specie se accompagnato da alimenti ad alto indice glicemico o da pasti troppo ricchi di grassi industriali e zuccheri raffinati.
Per contrastarlo, serve un lavoro su più fronti. Ma il primo e più concreto è l’alimentazione. Ridurre il grasso viscerale significa impostare una dieta con deficit calorico controllato, scegliere cibi con basso impatto glicemico, aumentare la presenza di fibre, micronutrienti, e proteine magre. Non meno importante è la densità energetica: preferire alimenti ricchi di acqua e nutrienti rispetto a quelli che contengono calorie “vuote”.

Tra i cibi più efficaci in questo percorso ci sono le verdure cotte o crude, ideali per saziare senza appesantire. La frutta fresca, consumata intera e non in forma di succo, rappresenta un’altra risorsa fondamentale grazie al contenuto di antiossidanti e vitamine. Anche i legumi, le carni bianche, lo yogurt greco, il tofu e il pesce azzurro svolgono un ruolo importante perché aiutano a mantenere attivo il metabolismo e prolungano la sensazione di sazietà.
I cereali integrali, se assunti in quantità moderate, rallentano l’assorbimento degli zuccheri nel sangue e mantengono stabili i livelli di insulina. E poi ci sono i grassi buoni: olio extravergine di oliva, frutta secca, semi oleosi, avocado. Tutti elementi che riducono l’infiammazione e contrastano l’accumulo adiposo.
Cosa evitare e quanto serve muoversi per ottenere risultati concreti
Accanto ai cibi consigliati, è importante sapere cosa escludere. I dolci industriali, le bevande zuccherate, i cibi ultraprocessati e i grassi trans sono considerati i principali colpevoli dell’aumento del grasso viscerale. Anche l’alcol, anche se consumato con moderazione, è correlato all’aumento della circonferenza vita e alla comparsa di fegato grasso.
Non va trascurato neanche il ruolo dell’attività fisica. Anche se è l’alimentazione a incidere maggiormente sul grasso addominale, il movimento è il complemento indispensabile. Non serve trasformarsi in atleti. Già una camminata veloce di 20 o 30 minuti al giorno può portare benefici visibili. Ma il massimo dei risultati si ottiene quando l’attività aerobica viene affiancata da esercizi per la resistenza muscolare almeno due o tre volte alla settimana. Questo aiuta a preservare la massa muscolare e a mantenere attivo il metabolismo basale, che spesso rallenta con l’età.
Quanto tempo ci vuole per vedere dei cambiamenti? In molti casi, i primi risultati si notano già dopo 4–8 settimane di cambiamento costante. Non sempre sulla bilancia, ma nella riduzione progressiva della circonferenza addominale. Ed è proprio questo il dato che i medici consigliano di monitorare, più ancora del peso totale. Perché perdere grasso viscerale non vuol dire solo sgonfiarsi: significa anche ridurre l’infiammazione interna e abbassare il rischio di sviluppare malattie croniche nel medio-lungo termine.